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La medicina deve saper rispondere a chi ha una genuina “paura di volare” … Dalla scrivania del Presidente.

In queste ultime settimane si sono accumulate lettere e e-mail sul tema del vaccino. “Vogliamo riprendere a lavorare a maglia in gruppo, chiacchierando, come abbiamo sempre fatto – scrive Paola da Trieste – ma alcune delle mie amiche hanno paura di stare nella stessa stanza con chi non è vaccinata e altre hanno paura di vaccinarsi…”

 

L’immunologia non è il mio campo e quindi non mi permetto di dare il benché minimo “parere da esperto”. Tuttavia penso certamente che anche chi è convinto, come chi scrive, che il vaccino anti Covid sia una necessità sanitaria oggettiva che potrà salvare vite umane e consentire la ripresa della vita sociale, debba però tener conto delle ansie, delle resistenze, dei dubbi e delle paure di chi non si sente di andare a cuor leggero al centro vaccinale più vicino appena ricevuto l’invito a presentarsi. Non i fanatici no vax urlanti che liquidano la questione come il solito complotto delle multinazionali farmaceutiche che prima creano per errore il virus in laboratorio e poi fanno i miliardi vendendo il vaccino come antidoto. A questi signori risponda la politica. La medicina deve saper rispondere a chi ha una genuina “paura di volare”, una paura dell’ignoto che in molti casi è assolutamente comprensibile.

Come spiegato al solito molto bene da Massimo Recalcati qualche settimana fa su Repubblica, “farsi iniettare nel proprio corpo una sostanza estranea, seppure incaricata di difenderlo dal male, non è affatto scontato che sia visto da tutti come un beneficio e non solo per una valutazione razionale sugli eventuali effetti collaterali che il vaccino potrebbe, sia pure in minime percentuali, determinare”. Recalcati ci ricorda cioè che esiste una componente psicologica nel rifiuto a farsi vaccinare che non bisogna sottovalutare. Non molto diversa appunto dalla paura di volare in aereo, dalla claustrofobia, dal ricevere un’anestesia generale o dal dover attraversare in auto un lungo tunnel. In tutti questi casi l’angoscia nasce dal sentimento di non poter governare la situazione nella quale ci si trova inclusi quasi forzatamente.

Penso che le risposte che la medicina può dare possano essere di due tipi. La prima è storica. E qui va assolutamente citato (e letto) il bellissimo articolo di Corrado Augias del dicembre scorso: “la storia dei vaccini racchiude una delle più straordinarie avventure dell’ingegno umano, vale a dire la lotta, e la vittoria, contro un nemico invisibile, capriccioso, mortale.

Nella seconda metà del Settecento il medico inglese Edoardo Jenner di Bristol sentì una giovane contadina vantarsi con un’amica di essere sfuggita al rischio di avere il volto butterato dal vaiolo dato che aveva già avuto il vaiolo delle vacche (da qui la parola vaccino). Questa particolare immunità non era un segreto nelle campagne inglesi ed europee. Jenner però volle andare in fondo organizzando un esperimento crudele, rischioso, oggi impensabile. Prese un bambino di otto anni, James Phipps, e ne fece la sua cavia. Gli praticò due graffi superficiali sul braccio per poi inoculare nelle scalfitture un fluido prelevato dalle pustole vaiolose presenti nella mammella di una vacca. Poi espose il piccolo James al contagio con casi di vaiolo umano e non successe niente. Il poverino, a sua insaputa, era diventato immune. Così mentre nel secolo della Rivoluzione Francese il vaiolo provocava la morte di quasi il 10 per cento della popolazione, a partire dal 1979 (dato OMS) grazie alla diffusione della vaccinazione questa piaga è scomparsa dal nostro pianeta. Stessa storia per tetano e difterite, per la rabbia e per la poliomielite. Ogni volta si corrono dei rischi, certo, e lo stiamo vedendo anche con il Covid19, ma l’esperienza storica è tutta a favore del fatto che ne vale la pena.

Il secondo tipo di risposta è invece di tipo culturale e sociale e qui torniamo al pensiero di Recalcati: “la vita umana non può essere una monade chiusa su sè stessa, ma è fatta per stare insieme. E la condizione per stare insieme, in questa drammatica congiuntura, è solo quella della vaccinazione. L’angoscia della perdita di controllo si può vincere solo collettivamente: una delle lezioni più significative impartite dal magistero tremendo del Covid consiste nell’averci mostrato che la salvezza o è collettiva o è impossibile e che, di conseguenza, o la libertà viene vissuta come solidarietà oppure resta una dichiarazione solo retorica”.

Che a Gomitolorosa lo avessimo capito da tempo? Che anche il senso della solidarietà collettiva sia davvero una componente importante della vita sociale? Come da tradizione anche quest’anno parteciperemo a giugno alla giornata mondiale del lavoro a maglia in pubblico e distribuiremo i nostri bei gomitoli colorati in parchi e giardini per chi vorrà provare a cominciare, per chi generosamente si offrirà di insegnare, per chi semplicemente passerà incuriosito a vedere che succede. Torniamo a stare insieme, e a farlo in modo rilassato se la campagna di vaccinazione continua con questi ritmi encomiabili. La lana e il lavoro a maglia non proteggono certo dal Covid, ma il Covid non fermerà le nostre iniziative. Mi rendo conto della provocazione, ma a volte ci si può concedere di pensare a voce alta….

 

Alberto Costa

Presidente Gomitolorosa Onlus

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