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Perché parlare ancora oggi della guerra di Yugoslavia dopo 30 anni? – Dalla scrivania del Presidente

Un’amica mi ha lasciato sulla scrivania il libro intitolato “e poi saremo salvi” di Alessandra Carati e lì è rimasto per un po’ di mesi. Ho cominciato a leggerlo in questi giorni e il tempo mi è volato. Se fossi ministro dell’istruzione lo farei adottare come libro di testo nelle scuole. Racconta la storia di una famiglia bosniaca musulmana che è costretta a lasciare il proprio antico villaggio vicino al fiume Drina a causa dell’arrivo delle milizie serbe che alla guida del boia macellaio Mladic intendono conquistare ed annettersi l’intero territorio approfittando della dissoluzione della federazione yugoslava.

Sarebbe un gran libro di scuola perché la voce narrante è una bimba, che nell’aprile del 1992 viene presa per mano di notte di colpo da sua madre, attraversa i boschi fino al confine croato poi sale verso la Slovenia e arriva finalmente ad entrare in Italia dove le aspetta il papà già espatriato ai primi segni di guerra. Il racconto è avvincente e trascinante, ma su certe pagine è difficile trattenere le lacrime. La piccola Aida cresce, impara l’italiano, va a scuola e arriva fino alla maturità classica. Tutti la ammirano ma lei perde la sua identità, dimentica la lingua bosniaca, non si sente più musulmana, va in vacanza in agosto nel suo Paese dove suo padre pensa sempre di tornare un giorno e non ricorda le persone, non sa come comportarsi con i ragazzi del villaggio. La vita va avanti e lei diventa medico, dà il suo contributo alla società, riesce a superare i traumi che ha vissuto con la guerra.

Qui mi fermo perché spero vi sia venuta voglia di leggere il libro e quindi non racconto come finisce. Ma perché parlare ancora oggi della guerra di Yugoslavia dopo 30 anni? E perché a Gomitolorosa?

 

Perché è come se la storia ci desse sempre una nuova guerra per non dimenticarne mai l’orrore. La mia generazione è nata subito dopo la seconda guerra mondiale e non si toglierà mai dalla testa i campi di concentramento nazisti. Per i nostri figli il ricordo è già più sfumato ma difficile che si dimentichino dell’assedio di Sarajevo, dei cecchini serbi che sparavano sulle donne in fila al mercato, della strage di Srebrenica. E i loro figli ricorderanno l’invasione russa dell’Ucraina, il pericolo nucleare, il disastro ambientale e le foto dei morti ammucchiati.

Neppure a farlo apposta sono stato da poco invitato a una serie di incontri in Bosnia e Serbia.

Bandiera Serbia
Bustine Kit Personale (805x645)

Le nostre ambasciate italiane in quei Paesi stanno dando un silenzioso ma enorme contributo alla riconciliazione e alla convivenza pacifica fra le varie comunità. E tutti sono interessati alla nostra idea di lanaterapia! Ne parlerò all’istituto oncologico di Tuzla e a quello di Sarajevo, poi, varcato il confine, alla comunità montana di Zlatibor, culla storica della lavorazione della lana in Serbia, e a Belgrado.

Possiamo anche noi dare un contributo sia pure microscopico alla riconciliazione nei Balcani? È presto per dirlo, ma è per me stupefacente come il “modello Gomitolorosa” non smetta di generare cose buone, energia positiva, momenti di coesione sociale che vanno ben oltre le barriere linguistiche, nazionalistiche e religiose.

Abbiamo Gomitolorosa4arts, come avete letto nelle pagine di apertura. Timidamente esploriamo anche Gomitolorosa4peace…

Alberto Costa

Presidente Gomitolorosa Onlus

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